I gruppi di turisti italiani stressati e caciaroni in partenza per un trekking che non sanno neanche cos’è. I negozi di abbigliamento tecnico da montagna più cari del mondo, che fanno fortuna sugli sprovveduti che arrivano qui in vacanza con il maglioncino, lo scialle e gli stivaletti col tacco alto. Centinaia di pullman da gita. Un belvedere con uno strano monumento, dove tutti vanno a scattare foto anche se non c’è gran che da fotografare. Una chiesa che svetta su tutta la città e che secondo le guide è a forma di razzo. Un cafè consigliatissimo da guide e TripAdvisor, che però ogni volta che ci passi è chiuso.
Ma anche: la birra buona che nel resto d’Islanda non è facile trovare. Un sacco di ottima musica. Niente colori della natura come nel resto del Paese, ma colori vivi e murales su tutte le case e su tutti i muri, panche e tavoli dipinti di fresco in tutta l’isola pedonale, dove hanno colorato anche l’asfalto, blu giallo e bianco. E i colori delle giacche a vento e delle maglie tecniche da montagna. Il palazzo del governo circondato da aiuole fiorite invece che da militari e polizia. Gli autostoppisti che riescono a rimediare un passaggio anche se si sono messi nel punto peggiore possibile della città. L’autista del pullman che se non hai le monete per il biglietto ti dice “non fa niente, la prossima volta ne pagherai due”, e gli sconosciuti che vorrebbero “prestarti” i soldi del biglietto. A buon rendere. Chi ridipinge la staccionata di casa con la famiglia al completo bambini compresi, un pennello ciascuno. I caffè gratis nei cortili dei bar. Tutti seduti all’aperto che oggi c’è il sole.
Quasi tutto ciò che di “urbano”, nel bene e nel male, esiste in Islanda, si trova qui, e qui finisce. Lasciando Reykjavík ti lasci alle spalle tutto questo e sei in rampa di lancio per un mondo che è veramente altrove.
Reykjavík, Islanda.