L’ostello è un grande edificio moderno di due piani, bianco e nero, praticamente in riva al mare, in fondo a una stradina di campagna che è un villaggio di quattro case, trenta balle di fieno, due trattori e due cani. Come molti edifici moderni in queste piccole località, visto da fuori può apparire veramente brutto, e stona, o a seconda dei gusti fa contrasto, con le case colorate e i tetti spioventi.
Varchi la soglia dell’ostello e la prima impressione svanisce in un attimo. Per l’incredibile quantità di luce che entra dalle enormi vetrate che sostituiscono quasi del tutto le pareti esterne. Per la vista sul mare in tutte le direzioni, e in un angolo due grandi poltrone rosse e un cannocchiale per spiare i pulcinella di mare su un’isola a pochi metri dalla riva. Per i grandi spazi dentro e fuori, il grande tavolo da biliardo, i divani, le stanze con i letti a castello che affacciano direttamente sulla grande sala comune. Solo i bagni e le docce sono striminziti, ma tant’è.
Accidenti se è bello questo posto. Mi godo il silenzio. In questi ostelli la reception apre alle 17, ma prima la porta è aperta, entri, rubi un attimo di solitudine agli spazi comuni che di sera si animeranno di gente di passaggio per la notte, gente che andrà via di corsa domattina senza aver visto la bellezza che c’è qui, senza aver ascoltato il silenzio, e le voci degli animali là fuori.
Per tutto il pomeriggio qui ci siamo solo io, un americano (presumo) poco socievole, e tre italiani che mangiano qualcosa e vanno via. E la signora che gestisce l’ostello, anche lei non proprio chiacchierona. Tenta un paio di volte una conversazione, ma quando scopre che sono arrivata qui in autostop (siamo a 35 chilometri dalla prima fermata dell’autobus, mezzo che comunque non sto più prendendo in considerazione. Con mio grande stupore ho impiegato solo quattro ore, e cinque passaggi diversi, tutti da guidatori islandesi e nessun turista, per coprire gli oltre duecento chilometri dal posto in cui ho dormito per le ultime tre notti), dicevo, quando la signora dell’ostello scopre che sono arrivata fin qui in autostop, la cosa l’appassiona ben poco. E dire che sulla porta dell’ostello un cartello ricorda le politiche ambientali degli ostelli islandesi, tra le quali la promozione dell’utilizzo del mezzo pubblico. Mi alieno definitivamente le simpatie dell’americano (che ascolta ma non parla) rifacendomi a ciò che recita il cartello e dicendo alla signora che è molto più sostenibile, dal punto di vista ambientale oltre che ovviamente economico, fare l’autostop che noleggiare una macchina solo per una persona (come appunto l’americano).
Che poi ho capito che per gli islandesi l’autostop è una cosa del tutto ordinaria. Visti il clima e le grandi distanze, la macchina per l’islandese è un bene primario, molto più di quanto non dovrebbe esserlo per il romano (anche se qui il romano medio dissentirà). E se qualcuno la macchina si trova a non averla, è normale dargli un passaggio. Non a caso, le uniche difficoltà le sto incontrando nei luoghi più turistici, soprattutto se la strada è impervia e tendono ad arrivarci solo quei turisti che hanno noleggiato la macchina grande, meglio se fuoristrada, meglio se sovradimensionata che fa bene all’ego, meno alla natura. Ecco, questi un passaggio te lo negano sempre e comunque, anzi se possono accelerano e sperano che un qualche sassolino sparato dal loro macchinone ti colpisca alle gambe. Non sia mai detto che questa ragazza con lo zaino gli sporchi la macchina. E dire che con tutti i bagni in piscina e le docce “approfondite” che è obbligatorio fare prima di entrare in vasca (dei cartelli indicano con tanto di disegnini le parti del corpo da lavare col sapone, e senza costume, prima del bagno), più la doccia della mattina, non credo di emanare odori poco gradevoli 🙂
Alle nove e mezza di sera nella sala dell’ostello c’è ancora un gran silenzio, ma per poco. La signora si è appassionata ai miei tentativi di fare una camminata nonostante gli attacchi delle migliaia di sterne artiche qui fuori, e mi propone un cappello che a quanto dice è fatto apposta. Una specie di casco. Sta a vedere che dovevo portarmi il casco da arrampicata e non lo sapevo. Anche l’americano è svanito.
Un gruppo italo-spagnolo entra in ostello e rapidamente si ritira nelle stanze. Di solito sono contenta di trovare compagnia e di condividere con altri viaggiatori racconti ed esperienze in giro per l’Islanda. Di convincerli ad andare nei posti che ho amato e di lasciar perdere certi altri molto strombazzati (spesso a torto) dalle guide. Stasera però, potendo, mi terrei questo silenzio, la vista dalle grandi vetrate, le poltrone rosse, l’attesa dei colori del tramonto, solo per me. Spero che nessuno torni, per stasera, nella grande sala, come a profanare un luogo che per qualche ora mi è sembrato solo mio.
Broddanes, fiordi del Nord-Ovest, Islanda.