Narvik, siamo in arrivo nella stazione di Narvik, this is the end of the line, capolinea. L’annuncio del capotreno, dopo 23 ore e 25 minuti di viaggio, è una liberazione. Il viaggio non è stato eccezionale, salvo forse per l’eccezionale numero di ore di sonno che sono riuscita a concedermi, era una vita che non dormivo così. Un couchsurfer di Narvik con cui avevo scambiato un paio di messaggi l’altro giorno mi diceva che negli ultimi 45 minuti di viaggio (gli unici in territorio norvegese, questa linea ferroviaria è svedese e sconfina in Norvegia solo per un breve tratto) avrei potuto ammirare dal finestrino un paesaggio maestoso. E invece solo nebbia e così ho solo intravisto fiordi e gole.

Contrariamente a ciò che mi aspettavo, la stragrande maggioranza dei passeggeri-escursionisti che erano con me a bordo del treno non erano diretti alle Lofoten ma a Kiruna e Abisko, due località della Lapponia svedese. Di Kiruna mi aveva accennato a Roma il mio amico Renato, ma si parlava di viaggi invernali, aurore boreali e spedizioni a bordo di slitte trainate da cani. A vedere Kiruna dal treno mi sembra un piccolo agglomerato industriale nel mezzo di una distesa di foreste. Ma magari mi sbaglio. E comunque anche un posto così avrebbe il suo fascino, soprattutto da fotografare. Abisko, invece, ha un paesaggio stupendo e vario con un grande lago e colline coperte dalle immancabili foreste, e capisco bene perché molti dei passeggeri scendano qui. Magari ci tornerò.

Arrivata a Narvik la situazione è un po’ complicata, ma questo già lo sapevo. Ho fatto parecchie ricerche prima di partire e di fatto non ci sono sistemazioni economiche qui per la notte, né autobus per spostarsi dopo le sei di pomeriggio, orario di arrivo del treno, che pure viaggia tutti i giorni. Fino all’anno scorso c’era un campeggio, ma ha chiuso perché sul suolo dovranno costruire una chiesa. C’era un ostello annesso a un pub, ma il pub ha cambiato gestione e i nuovi proprietari hanno dismesso l’ostello, anche se le frecce per arrivarci ci sono ancora, in tutto il paese. Ho provato Couchsurfing, invano, e Airbnb,  come consigliato dall’ufficio del turismo, ma anche lì nulla di disponibile a prezzi vagamente ragionevoli. C’è una guesthouse che offre una stanza basic senza bagno a quasi 70 euro per una persona. Penso di andare all’ufficio del turismo a raccogliere informazioni e procurarmi una mappa, ma oggi, con tante scuse, hanno chiuso qualche ora prima. Fotografo col telefono la mappa affissa alla parete della stazione e mi dirigo alla ricerca di un supermercato e di un bancomat. Mi dicono che posso trovare entrambi nel centro commerciale che, però, oggi che è sabato chiude alle sei. Troppo tardi. Compro il minimo indispensabile per il mio fabbisogno alimentare nel negozio della stazione di servizio (qui come in Islanda, le stazioni di servizio sono un punto di riferimento fondamentale), ma poi ripercorrendo il flusso di gente che cammina con le buste della spesa in mano trovo un supermercato aperto, e anche un signore che mi consiglia dove andare per fare l’autostop.

La E6 è la strada principale che taglia la Norvegia da nord a sud, e dove fare l’autostop dovrebbe essere piuttosto semplice. Non è un’autostrada ma una strada a una corsia per senso di marcia (almeno qui), che attraversa paesi e città. Ci sono due campeggi a una quarantina di chilometri da qui, uno in direzione nord, verso il bivio che porta alle Lofoten, e uno in direzione sud, a Ballangen. La stazione si trova vicino al punto in cui la E6 lascia Narvik in direzione nord e così opto per il campeggio che sta da quella parte. Mi sembra la soluzione più ragionevole anche perché il piano è poi quello di proseguire per le Lofoten. Narvik è l’unico punto di accesso alle Lofoten via terra, attraverso una serie di ponti. Ci sono tre autobus al giorno, di cui non ho gli orari perché non li ho trovati affissi da nessuna parte e perché l’ufficio del turismo mi ha mandato via messaggio privato su Facebook un link non funzionante.

Piove e aspetto una mezz’ora senza trovare un passaggio, anche se le macchine sono tantissime. Un camion mi fa cenno che tornerà più tardi. Ben presto lascio perdere, sotto questa pioggia non ne vale la pena. Attraverso Narvik a piedi in direzione sud restando sempre sulla E6 e una serie di frecce “turistiche” mi segnala che Oslo e Stoccolma sono a circa 1400 chilometri da qui, ma soprattutto che Roma dista poco meno di quattromila chilometri! A Roma è sabato sera, e anche qui,  ma da queste parti non c’è vita, mi sembra. Finalmente trovo un bancomat e poi una vecchia guesthouse ormai chiusa. Ma ormai il piano è quello di andare al campeggio di Ballangen, verso sud, sperando che da questa parte gli dei dell’autostop mi siano più favorevoli.

E infatti… misteri dell’autostop: meno di cinque minuti di attesa a una fermata dell’autobus davanti a un hotel di lusso e si ferma un ragazzo in fuoristrada. Sta raggiungendo degli amici per il weekend in una casetta di legno (cabin) fuori città. Non arriverà fino a Ballangen ma almeno può avvicinarmi alla mia destinazione, e soprattutto portarmi via da questa cittadina che non sembra amare i backpackers. Nei venti chilometri che percorriamo insieme, mi racconta che qui nella baia di Narvik nel 1940 si è consumata una delle battaglie più sanguinose della seconda guerra mondiale, una Pearl Harbor meno nota, di cui ancora oggi riemergono i relitti dalle acque del fiordo. Lungo la costa c’è un monumento alla battaglia con dei cartelli che ne narrano la storia, e c’è anche un’area camper in cui sono parcheggiati una ventina di mezzi. Qui c’è un sacco di gente e c’è spazio comodo per la tenda. Il ragazzo in fuoristrada, che sta per lasciare la E6 per raggiungere gli amici, mi consiglia di fermarmi qui, e ha ragione: non vale la pena di continuare a fare l’autostop sotto la pioggia che continua a cadere a tratti per fare i 20 chilometri che mi separano dal campeggio di Ballangen. Monto rapidamente la mia piccola tenda e mangio la mia cena sulle panchine vicino al monumento chiacchierando in tedesco con un signore norvegese in viaggio in camper con la moglie.

Dopo avermi raccontato le meraviglie delle Lofoten, il camperista mi porge la solita domanda: ma non ti senti sola, non hai paura a viaggiare da sola? Ormai la risposta la conosco, e ne ho appena avuto l’ennesima prova: sì, qualche volta mi annoio e mi sento sola, ma sola non sono quasi mai; solo sui mezzi pubblici e nei centri urbani la gente non scambia due parole con gli sconosciuti. Sono reduce da due giorni di aereo, treno, giro a Gőteborg e giro a Narvik e non ho parlato con nessuno se non per chiedere informazioni. Appena esci da quel mondo e ti “tuffi” nel viaggio, nell’autostop e ora nel campeggio libero (che in Norvegia, come in Islanda, è normale), non sei più solo, ma circondato da una miriade di persone con cui, ognuno a suo modo, ci si aiuta, ci si racconta storie e si trova qualcosa da condividere: una tazza di tè con un uovo sodo, uno spazio al riparo dalla pioggia, le previsioni del tempo, un tratto di strada o un racconto di viaggio. Per un attimo penso di nuovo al fatto che a casa è sabato sera. Qui comincia a piovere e posso solo rifugiarmi nella piccola tenda e mettermi a dormire presto, saranno le dieci. Mi addormento sfinita e felice pensando che era vero ciò che mi sono detta tornando alla “civiltà” sulla via del ritorno dai Westfjords islandesi, meno di un mese fa: che non mi andava di tornare alla solita vita, ma che non sarebbe stato difficile tornare “là fuori”. E ora la riconosco, quella sensazione, eccomi, sono di nuovo qui.

Narvik, Norvegia.

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