Ho aperto la porta, lasciato entrare il gatto che ha smontato pezzo pezzo l’albero di natale. La coinquilina dormiva ma l’abbiamo svegliata ridendo, non ce n’eravamo accorti. Un’amica, la più cara che ho, mi ha dato buca ancora una volta per stanchezza (e il suo anno lavorativo deve ancora cominciare) nonostante un appuntamento preso da settimane, perché questa città la uccide appena ci rimette piede, uccide lei come uccide me per gli svincoli chiusi senza preavviso e per le ansie degli altri che fanno capolino dalle chat di gruppo e dai messaggi dei colleghi in vista di domani e dalle mail che mi ero scordata di leggere. Un’altra amica mi ha cercata con un invito, una mostra e una cena ancora prima del previsto, e ho detto sì anche se avevo un altro mezzo impegno, perché è bello dire di sì agli inviti fatti con slancio da chi sa che tra qualche giorno sarò scivolata via. Il coinquilino nuovo mi ha offerto birre e chiacchiere in cucina con lui e un amico cervello in fuga felice, spaesato e lost in translation come me, ed è andato via verso una cena che dopo due settimane di nutrizione forzata natalizia da parte dei parenti si spera non preveda più di qualche stuzzichino.
Finalmente è arrivata la pioggia, mai così desiderata, come una gravidanza arrivata quando ormai credevi di essere fuori tempo massimo, come un gol in zona Cesarini, è arrivata la pioggia a restituire a Roma un cielo degno di tal nome e il paesaggio tutto intorno che avevamo dimenticato. In fondo alla Tiburtina oggi ci sono le montagne come quel giorno che mio fratello viveva ancora a Roma e guidava ancora lo scooter e mi telefonò chiedendomi se lo sapevo che a Roma c’erano le montagne in fondo alla Tiburtina, lui in tanti anni non ci aveva mai fatto caso fino a quel giorno limpido forse come oggi. Mentre mi attorciglio con la macchina di mio padre tra gli svincoli chiusi al traffico senza preavviso, per accompagnare i miei passeggeri di Blablacar a una metro qualunque, guardo quel cielo e quelle montagne con lo stupore di chi da Roma si è fatto fregare proprio oggi, che non c’è più tempo e sto per partire, e mercoledì è di nuovo vacanza e a non dover usare la giornata per fare lo zaino vorrei mezza giornata al sole in falesia con gli amici e una zuppa di legumi e castagne per cena tra le montagne. Che ne avrò mille di quelle giornate al sole e di quelle cene ma ne voglio ancora una con voi, invece di una cena in un locale hipster con la birra a sei euro e l’immancabile hamburger.
Conto i giorni che mancano alla partenza, anzi le ore, le mezze giornate, mancano cinque giorni e mezzo o meglio sei giorni meno otto ore, come si fanno i conti non so, so solo che laggiù c’è un tramonto che mi lascerà senza fiato appena lo vedo e che appena sarò lì qualcosa di tutto questo mi mancherà, ma voi, a cui voglio bene, voi vorrei portarvi con me, vi porterò con me, quindi non è che ci salutiamo, in questi cinque giorni e mezzo quasi sei, se ci vediamo o non ci vediamo è la stessa cosa, tanto sarete con me se lo vorrete, non so cosa ci dovremmo dire di più oggi o domani o tra tre giorni di tutta la vita che abbiamo vissuto insieme. Lo zaino non è grande abbastanza per tutto quello che devo portare con me, per i vestiti per quattro stagioni, la corda e il sacco a pelo, ma voi sarete con me. Se lo vorrete, s’intende. Vado a vedere cosa c’è là fuori. Lo so che sarà bello.
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