Il primo pomeriggio di tempo libero dal lavoro e senza un programma. Il primo pomeriggio libero dopo sette anni e mezzo di lavoro in ufficio e quattro mesi di scatoloni da fare e disfare, scartoffie, lavori da chiudere, visite mediche, roba usata da regalare in giro. La prima volta che questo pomeriggio libero non è un weekend o una festività o una vacanza, ma una nuova quotidianità.

Nel tuo primo pomeriggio libero puoi fare la pasta frolla per le crostate, metterti a leggere al sole, fare una passeggiata al tramonto per fare delle foto, andare ad arrampicare, parlare con papà su skype, metterti a lavoricchiare al computer, importare le foto degli ultimi giorni, rispondere a dei messaggi, farti bella, leggere una rivista di arrampicata dalla biblioteca dell’ostello, andare a dare un’occhiata in paese, cercare delle spille da balia disperse da qualche parte, ritirare i panni stesi, giocare col cane più pigro del mondo, dormire sull’amaca, fare due chiacchiere in un inglese neozelandese o del nord dell’Inghilterra, fare scuola guida col furgoncino e lasciare che si formi una coda di macchine perché ti rilassi e vai troppo piano, fermare la macchina in mezzo a un vicolo largo quanto la macchina stessa per andare all’estanco, fermarti a chiacchierare con la tabaccaia tanto non passa nessuno o, meglio, nessuno ha fretta.

Il primo pomeriggio libero puoi fare una qualsiasi di queste cose. O anche niente. Solo che non ci ero abituata, e mi alzo dalla sedia sei volte in pochi minuti girando a vuoto.

Il tempo. Il tempo è mio. Me l’ero dimenticato.

Un pensiero su “Il tempo che c’è

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