Da quando sono arrivata io, qui fa più freddo di quanto non ne abbia fatto da un bel po’ di tempo a questa parte. Di giorno si lavora all’aria aperta e se c’è il sole, dato che non si sta mai fermi, spesso si sta anche solo in maglietta. Dopo pranzo la giornata di lavoro è finita e dopo la doccia ripeto sempre lo stesso errore: vestiti estivi, mi metto seduta al sole con il computer per un’oretta.
L’errore è che il sole non è mai dove dovrebbe essere. Io mi siedo e lui si sposta, intanto il vento mi sferza la pelle, vado a prendere una felpa, poi una felpa più calda, i pantaloni corti non durano che dieci minuti, mezz’ora al massimo, poi via i sandali, scarpe chiuse, piumino, arriva qualcuno di ritorno dalla falesia col cappello di lana, io ancora non l’ho usato, però mi ostino felice a starmene seduta all’aperto, in questi pomeriggi blandi, al tavolo di plastica della cucina del campeggio, accoccolata sulle sedie rosse marca birra Estrella, mi ostino fino all’ora in cui il tramonto assedia questo posto da ogni parte, in ogni direzione una sfumatura diversa, anzi altro che sfumature, solo colori decisi che alla mia sinistra infuocano il cielo e alla mia destra fanno arrossire la montagna che sovrasta il paese.
Ho freddo, ma forse rimedio una coperta e di questa sedia di plastica faccio la mia tana per un’altra mezz’ora. Il sole che mi scotta la pelle di giorno e il vento che mi screpola le labbra di sera, i capelli mai in ordine, i vestiti sempre uguali (ma li lavo!), mi fanno sentire lontana anni luce da una vita che è distante solo dieci giorni da oggi e da qui.
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