Quando è uscita questa canzone la mia casa era una stanza di un ostello per arrampicatori in Spagna. Cambiavo stanza ogni tre-quattro giorni per fare posto in base alle prenotazioni degli ospiti in arrivo. Anzi, a dire la verità, all’epoca la mia stanza erano le mie cose organizzate in alcune scatole e portaoggetti, che mi permettevano un rapido trasloco all’occorrenza: una scatola-comodino, una scatola-armadio, una scatola-scaffale per cianfrusaglie e libri, una busta per le scarpe e un fantastico portaoggetti da bagno dell’ikea che rappresenta appunto, da un anno a questa parte, il mio mobile da bagno portatile, carico di asciugacapelli, medicine per ogni evenienza, smalti, creme e un sacco di altre cose che non serve menzionare.

Sarà sicuramente banale citare questa canzone, ma ogni terra, o quasi ogni terra, che la canzone racconta, riporta alla luce un pezzo del mio cuore. Ho lasciato mille pezzi del mio cuore lungo le strade che ho percorso e nei luoghi in cui per più o meno tempo ho vissuto. E anche in quelle terre che la canzone racconta e in cui non sono stata, anche lì ho lasciato le vite immaginate che non ho ancora vissuto, e che forse un giorno, ma che adesso non era il momento. E alla fine, come alla fine della canzone, c’è anche Roma, e non c’è niente da fare, anche se ogni giorno racconto come la vita romana fosse un inferno a cui non vorrei mai tornare, un pezzo del mio cuore a Roma è rimasto, tra i vicoli del centro e lungo il fiume nelle mattine d’inverno, o col tramonto in tangenziale o davanti al supermercato vicino all’ufficio. Però Roma è rumore, insonnia, ingorgo, spese e violenza verbale e le ultime due volte che ci sono stata mi sono ammalata. Come mi ha detto un amico, Roma è come uno di quei parenti che sei felice di rincontrare, una volta all’anno, e poi quando li saluti al momento di andare via, sei contento che per un altro anno non dovrete rivedervi. Però poi ascolto questa canzone, e alla fine nulla mi emoziona come ripensare a certi momenti della mia vita romana. E lo credo bene, in fondo, è lì che ho passato gran parte della mia vita “da grande”.

Non so più in quante parti ho fatto a pezzi il mio cuore da quando ho iniziato a viaggiare. Non so più quante volte ho ricominciato. Non so più quante stanze e case ho cambiato quest’anno. Sono stata spesso, molto spesso, ospitata da amici, couchsurfer o semplicemente da persone belle che non finirò mai di ringraziare. In molti casi mi sono autoinvitata perché ero di passaggio o perché avevo voglia di rivedere qualcuno. Mi sono presentata per il fine settimana a casa di qualcuno con tre ore di preavviso, ovvero il tempo necessario a coprire, in macchina, la distanza che ci separava, solo perché era bello ritrovarsi e accorgersi di non essere poi così lontani. Ho sottratto, inconsapevole, materassi gonfiabili ad altri ospiti. Ho occupato più volte e per settimane con valige e scatoloni la camera di mio fratello a casa dei miei, salvo, lo giuro, rimettere tutto a posto un attimo prima di andare via, come se non fossi mai stata lì. Mi sono ricordata oggi che in Norvegia, per via di tutto il marasma lavorativo che avevo da fare, ho rimandato ogni giorno per quasi due settimane il mio trasloco dalla mia prima stanza sgangherata e buia alla seconda, minuscola, perché non avevo neanche il tempo di spostare le mie poche cose tra due posti distanti tra loro un minuto a piedi, e di pulire il frigo e la cucina.

Del mio folle (come tutto il resto) trasloco norvegese me ne sono ricordata oggi, perché oggi di trasloco ne ho fatto un altro, ma con molta più calma. E perché stasera è la prima sera che trascorro nella mia nuova casa. Ho una piccola casa che è tutta mia per un po’. Per un tempo un bel po’ più lungo del tempo provvisorio che ho vissuto ogni giorno in questo ultimo anno. Con me ci sono le mie cose, le mie scatole e i miei portaoggetti, ma li ho svuotati e sistemato tutto in mobili normali. Ho un vero scaffale per i libri e un vero armadio dove i vestiti non saranno più così spiegazzati. Mi guardo intorno e scopro con stupore, in questa piccola piccola casa, cassetti vuoti che posso riempire e non avere più le mie cose tutte sparse in giro.

Volevo comprare un planisfero, una mappa dell’Europa e una della Germania da appendere in casa per sognare e pianificare posti vicini e lontani da visitare o da vivere un giorno. Ma sono arrivata in questa casa e mi sono accorta che il planisfero c’è già, appeso al muro. E allora appenderò una bacheca con tante foto con le persone a cui voglio bene e con le persone incontrate per un momento e con cui mi sono scattata una foto lungo la strada. E poi stasera, andando in bici, mi sono accorta anche che adesso, oggi, e per un bel po’, non vorrei essere in nessun altro posto, se non questo. Ho trovato casa, e non è solo un piccolo appartamento, ma una città con le braccia aperte.

3 pensieri su “Mille pezzi del mio cuore

  1. più della bella canzone di Silvestri mi affascinano tutte quelle bici ammassate fuori dalla stazione, più il luogo è freddo più ne fanno (tu stessa ne fai, leggo) il mezzo naturale di spostamento, un’invidia.
    sono dovuto risalire come un salmone di post in post per verificare se eri la stesa che avevo incontrato per caso mesi fa mentre lasciava un’isola sperduta di norvegia dove aveva vissuto e lavorato. Eri tu e ritrovo lo stesso piglio, la stessa frenesia vagabonda, la stessa passione a cercare ovunque la vita ai quattro angoli del mondo.
    buona vita, allora
    ml

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  2. sono la stessa, anche se dentro me c’è sempre qualcosa in continuo cambiamento 🙂 ma sì che sono la stessa!
    grazie del pensiero, mi fa tanto piacere 🙂

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