Da quando ho lasciato il mio vecchio lavoro e la mia vecchia vita, e da quando prima in Spagna e poi in Norvegia ho vissuto a lungo lontano dalla città, uno dei cambiamenti più radicali che ho osservato in me è che ho iniziato a detestare i negozi. Non mi è mai più capitato di andare a fare shopping per combattere il malumore, anzi.
Mi capita qualche volta di accompagnare qualcuno per negozi: per esempio i miei genitori (mamma e papà, scusate se vi uso come esempio!) in visita qui in Germania volevano comprare qualcosa prima di ripartire, non necessariamente qualche souvenir, ma semplicemente delle cosette tipiche di qui, che ne so, una tazza termica come la uso io, o i filtri per il caffè (pur senza avere la macchina da caffè del tipo che si usa qui). E mentre giravamo per i grandi magazzini del centro mi saliva uno strano nervosismo che ho fatto fatica a non far trasparire. E continuavo a dire loro: no, questo non lo comprate, no, questo no, è inutile, non è adatto, e così via. Mamma e papà, perdonatemi!
O per esempio una ragazza della scuola di tedesco, con cui ho preso un caffè qualche giorno fa, e che ho poi accompagnato in giro tra H&M e altri negozi del centro perché “doveva” comprare un capo di abbigliamento o un accessorio adatto da indossare a una festa anni ’90. In particolare era da tanto che non entravo da H&M, da quando è saltato fuori che impiegava bambini rifugiati siriani nei suoi stabilimenti in Turchia. E comunque da quando ho imparato che tornare trionfante da un pomeriggio di shopping con quel maglione o quel paio di scarpe pagati solo 10 euro non è qualcosa di cui vantarsi, perché il prezzo così basso è indice non solo di qualità molto bassa (e quindi più rifiuti, perché il capo si distruggerà presto e non ci sarà molto da riparare, ma solo da buttarlo via) ma anche di un processo produttivo basato sullo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo e sull’utilizzo di materie prime tutt’altro che sostenibili e trattamenti chimici inquinanti.
Dubito di essere stata una brava personal shopper, perché osservando la mia amica frugare in fretta e furia tra i capi più inguardabili dei vari negozi alla ricerca di qualcosa (un pantalone a zampa, un bomber, o non sappiamo bene cosa) che non costasse più di 20 euro e che ricordasse gli anni ’90, anche se ho cercato di non farglielo notare sono sicura di averle trasmesso tutto il mio disagio, mentre mi diceva desolata che sicuramente avrebbe comprato qualcosa che non le piaceva e che, dopo quella sera, non avrebbe mai più indossato. Ovviamente la “moda rapida” è una soluzione più comoda, ma solo perché ci siamo abituati. Perché altrimenti, a maggior ragione in un caso del genere sarebbe stato molto meglio andare in un negozio di abiti usati, e ce ne sono tanti, qui.
Io, semplicemente, da quando sono andata via da Roma e ho regalato alle amiche tanti dei miei vestiti nel corso di un paio di memorabili “swap parties”, mi sono accorta che anche così, dopo aver dato via praticamente di tutto, ho ancora davvero troppi vestiti. E avendo sempre preferito un abbigliamento fatto di capi semplici, senza troppe scritte e fantasie, le combinazioni sono infinite e posso “cambiare aspetto” quante volte mi pare e usare gli stessi vestiti fino a consumarli al punto che non si possono più riparare e allora sì, buttarli. Qualche settimana fa a Barcellona mi sono comprata un paio di scarpe nuove, visto che quelle che avevo indosso, già riparate almeno due volte, si erano scollate un’altra volta, e mi avevano accompagnata in giro per l’Italia e per l’Europa per ben due anni ormai. Ci ero davvero affezionata, e un tempo le avrei conservate per ricordo, ma ora non serve Una volta comprate le scarpe nuove, in una piazzetta della città vecchia di Barcellona, le ho indossate direttamente, ho posato a terra le mie fedelissime vecchie compagne di viaggio, me le sono guardate per l’ultima volta con affetto e gratitudine e poi ho cercato un bidone per buttarle via. E alle mie scarpe nuove, dopo qualche settimana, voglio già un sacco di bene.
Non so dove ho letto in un blog ultimamente che quando hai poche cose ti prendi molta più cura di loro. Una volta eliminato il superfluo, sai esattamente ciò che possiedi. È assolutamente vero. E giuro che da quando ho smesso di comprare vestiti nuovi ogni volta che c’era un’occasione particolare, un’uscita, una festa, un viaggio e così via, non mi sono mai sentita a disagio con i miei “vecchi” vestiti. E a casa dei miei ho ancora tre cassetti, due ripiani e due comparti con grucce pieni di roba con cui fare a cambio quando mi sarò stancata dei vestiti che ho qui. Un’enormità di cose, eppure non sono mai stata una maniaca dello shopping o una che seguiva le mode, anzi. Più ci penso e più mi fa impressione.
Lo scrivo oggi perché da quando, a inizio marzo, ho iniziato il mio esperimento di fare la spesa senza utilizzare plastica usa e getta, ho preso l’abitudine di andare il venerdì a fare la spesa al mercatino dei prodotti locali e biologici. L’avessi fatto prima! Per fortuna il venerdì non lavoro e posso concedermi di passare una mezz’oretta a scegliermi la frutta e la verdura che mi piacciono, i formaggi locali e anche una fetta di carne. Alla bancarella più grande di frutta e verdura ho trovato un sacco di tuberi e di verdure a foglia verde che non conoscevo. Mentre aspettavo il mio turno ho detto a un signore che era in attesa accanto a me che sono italiana e gli ho chiesto di spiegarmi cosa sono i vari prodotti locali a me ignoti. Lui mi ha suggerito un sacco di zuppe e ricette e ho finito per comprare cose che al supermercato non avrei mai comprato. Ovviamente il tutto con i miei sacchettini porta-frutta e verdura in tessuto, che al mercato hanno in tanti. C’è pure un sacco di gente che va al mercato direttamente con i suoi contenitori tipo tupperware in vetro e si porta via così i formaggi, i salumi e la carne. Al supermercato, invece, non si può fare. Mi sono veramente innamorata di questo mercatino. E in generale, tanto detesto ormai lo shopping compulsivo di gadget elettronici, oggetti e vestiti superflui, quanto amo fare shopping di cose buone da mangiare. Ci hanno visto bene i ragazzi che alla mia festa di compleanno, il mese scorso, mi hanno regalato cioccolata e formaggi biologici del mercatino. Giuro che non sapevano niente di tutte queste mie fissazioni, e io ho apprezzato tantissimo!
Comunque al supermercato continuo ad andarci, anche se senza plastica non posso comprare molto. Soprattutto ho scoperto il motivo per cui al supermercato gli ortaggi bio si vendono già impacchettati nella plastica: perché qui frutta e verdura si pesano alla cassa, e solo grazie al packaging il cassiere può distinguere la mela bio da quella non bio. Mi pare incredibile, ma è così a quanto pare.
Finora, alle mie settimane senza plastica, sono sopravvissuta molto bene e senza troppa fatica. Mi mancano fondamentalmente biscotti e pasta (ma sono sicura che li posso trovare al negozio che vende cibo sfuso, dove non sono ancora stata) e tutto ciò che è take-away: l’altro giorno cercavo un piatto da asporto da comprare al volo prima di andare al lavoro, ma non avevo un contenitore con me e tutti i contenitori proposti dalla tavola calda erano in plastica. Ho rimediato con un paio di pretzel e la prossima volta semplicemente mi porterò il contenitore nello zaino.
Dimenticavo: il mercatino biologico costa più caro del supermercato, ma compro solo quello che mi serve e spreco meno, quindi alla fine risparmio. Comprare alimenti sfusi è il contrario della logica delle offerte speciali che, invece, ci portano a comprare ciò che non ci occorre e poi a buttare via il cibo, una cosa che non tollero più, soprattutto da quando ho passato qualche giorno a Barcellona con gli amici italiani che portano avanti Ricuciniamo – Stop to food waste e che mi hanno fatto riflettere sulla portata degli sprechi alimentari di cui siamo anche noi responsabili.
Perché vi ho scritto tutto questo? Non per vantarmi di tutto quello di cui riesco a fare a meno, giuro. Ma solo perché, davvero, a tante di queste cose ci pensavo anche prima, ma mi parevano complicate. E invece, non serve cambiare tutto insieme, non serve essere drastici, non serve avere troppo tempo o troppi soldi, ma solo un po’ di cura per le proprie scelte, e un passo alla volta la logica alla base dei nostri consumi può evolversi e renderci consumatori più consapevoli e meno vulnerabili. Non so bene perché, ma io mi sento meglio