È l’ora dei miracoli, l’ora in cui dopo tre mesi grigi finalmente è uscito il cielo, l’ora in cui lungo la strada grigissima per andare al lavoro mi accorgo all’improvviso dell’esistenza dei colori, l’ora in cui mi lascio bruciare gli occhi da un tramonto che non ricordavo, lungo una strada a senso unico su una collina che non sapevo esistesse.
È l’ora dei miracoli, l’ora del risveglio a otto gradi sotto zero dopo un inverno buio e piovoso ma per niente freddo. L’ora del risveglio con una telefonata che mi chiede il permesso di dirci finalmente tutta la verità. L’ora in cui riesco finalmente a dire di no senza alzare la voce e senza rimanerci neanche male. È l’ora dei miracoli, è l’ora di scoprire che continueremo a starci accanto e continueremo a parlare l’idioma che conosciamo solo noi due. Che non verrà mai quel giorno in cui “ci siamo perduti come smarrire un anello in un prato” e in cui “c’era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato”. Perché abbiamo tutta una vita di avventure ancora da scrivere insieme.
È l’ora dei miracoli, è l’ora della pasta che sa davvero di casa, come non mi succede mai e allora me ne mangio addirittura due piatti. È l’ora delle scarpe nuove che cercavo e non trovavo da tempo e che in un momento distratto ho trovato e comprato addirittura in due paia di due colori diversi, dato che chissà quando mi ricapita.
È l’ora dei miracoli, è l’ora dei calzolai che mi riparano i tacchi in mezz’ora il giorno prima di partire e mi offrono pomate per rimediare ai lividi che i miei stivali portano orgogliosi dopo anni di avventure. È l’ora delle scartoffie spedite in ritardo e con affanno ma arrivate in tempo alla nuova assicurazione della macchina. È l’ora dei burocrati al telefono che mi dicono che non c’è niente di cui preoccuparsi. È l’ora dei meccanici per bici che amano la birra ma non il carnevale, e che senza troppe storie mi ripareranno la tua famigerata e irriparabile bici in tempo per il tuo ritorno.
È l’ora dei miracoli, è l’ora in cui una cucina in ristrutturazione sputa fuori da un mobile e catapulta sulla mia strada due buste piene di cose messicane scadute ma apparentemente ancora buone da mangiare, che sono la promessa di un’altra cena e di un’altra festa con gli stessi sorrisi, le stesse risate, la stessa follia della lunga notte di sabato scorso.
È l’ora dei miracoli, l’ora in cui la mia collega messicana trova solo un microscopico errore, un microscopico accento mancante, in tutte le cose che ho tradotto dal tedesco allo spagnolo nei due mesi in cui lei era via, nonostante mi español de la calle, vale a dire che non l’ho praticamente mai studiato e l’ho imparato quasi per osmosi.
È l’ora dei miracoli, l’ora di tre offerte di ospitalità al carnevale di Colonia che si materializzano in un solo giorno dopo settimane di affannosa ricerca. È l’ora di ricominciare a viaggiare con gli amici e smettere per un po’ i panni della viaggiatrice solitaria e orgogliosa della sua indipendenza. È l’ora di un treno da prendere domani, ma non da sola. È l’ora di smettere di dire “ciao, io vado” e di riprendere a dire “andiamo”. È l’ora di essere felice di questo cielo finalmente azzurro, delle persone meravigliose con cui divido la vita e di tutti i miracoli che mi sono andata a cercare.