Le sette del mattino, inizia già a fare giorno e la luce rende quasi bello persino il brutto, sperduto quartiere residenziale per studenti dove vivono due degli amici con cui ho condiviso questa ultima, folle giornata di carnevale. Forse non è vero che è questa luce a rendere tutto più bello, ma forse solo il pensiero che finalmente, tra pochi minuti, per due ore e mezza potrò infilarmi sotto le coperte che uno dei due amici mi presterà e concedermi un breve riposo prima di andare al lavoro, soluzione di fortuna visto che la mia coinquilina dorme e ho lasciato le chiavi a casa. Siamo reduci da tre ore di treno regionale in piena notte con due cambi, più un autobus e prima un taxi. Sul treno abbiamo dormito a turno, mettendo la sveglia sui cellulari dalle batterie ormai tenute in vita a fatica, per non perdere la coincidenza tra un regionale e l’altro.
Mi confondono la luce del giorno e la neve davanti al portone di casa del mio amico. Avrà nevicato nella notte appena passata o è ancora la neve di due notti fa? Sono passate trentadue ore dall’ultima volta che ho preso il bus da questa fermata per tornare a casa mia dopo una birra e due chiacchiere in quella che in realtà avrebbe dovuto essere la giornata di riposo totale in mezzo a questo lungo weekend. E a parte i minuti di sonno interrotto nel treno, sono ventiquattr’ore che sono sveglia, sono passate ventiquattr’ore da quando mi sono svegliata nel mio letto, ho messo due cose nello zaino, mi sono infilata il costume da rana col cappuccio e sono andata a prendere il treno del mattino con la triste consapevolezza che sarei stata l’unica ad arrivare puntuale all’appuntamento.
In queste ventiquattr’ore, e nelle giornate che le hanno precedute, ho riso, ho pianto, ho gridato, ho ballato e cantato, ho odiato a comando e fatto pace perché tanto non ne vale la pena, ho fatto colazione al McDonald’s o con un rustico ripieno di carne macinata del kebabbaro, ho creduto di aver perso le chiavi di casa ma le avevo lasciate sulla mensola nell’ingresso, ho consumato tre batterie e mezza del cellulare in un giorno, sono riuscita a non sbagliare neanche un treno e neanche un tram tranne quando ero da sola, anche vestita da rana mi sono sentita dire che ho un aspetto “affidabile” da una sconosciuta che mi ha affidato la sua birra per strada, sono stata testimone di confessioni improbabili, mi sono sentita dire tutto e il contrario di tutto in fatto di consigli non richiesti di ben quattro amici maschi tramutatisi, uno alla volta, in sedicenti confidenti, mi sono spaccata la pelle delle mani per il freddo nonostante i guanti, ho collezionato timbri sul dorso delle mani e cioccolata lanciata da carri popolati da uomini in mise bianca e blu e parrucca d’altri tempi, ho fatto da guida in una città che conoscevo solo da tre giorni, ho risposto con sicurezza dettata dalla disperazione a domande cui non avevo la risposta, ho usato la mia autorità e il mio status di anziana per prendere decisioni rapide anche per conto terzi, ho accontentato i capricci di amiche che vogliono per forza fare come dicono loro, mi sono emozionata per canzoni cantate a squarciagola e imparate a memoria in un dialetto che non so parlare, mi sono abbandonata agli eventi, ho ritrovato dopo anni compagni davvero a lungo lontani, ho registrato video di auguri in mezzo a un corteo di spettri che somiglia a una fiaccolata per la pace di quindici anni fa, ho rincontrato per caso couchsurfers conosciuti la sera prima in un bar da tutt’altra parte della città e il ragazzo che un anno fa quando lavoravo in un bar ha tentato di insegnarmi a preparare il cappuccino perfetto, ho rimandato diverse partenze fino all’ultimo minuto della notte, mi sono rifugiata in stazione per sfuggire a una nevicata improvvisa, ho improvvisato programmi e inventato orari di treni, mi sono affezionata a strade e quartieri, ho invidiato i costumi tipo pigiamone che sicuramente tengono al caldo, ma ho voluto bene al mio costume incontrato per caso qualche settimana fa, quando ancora non sapevo cosa il carnevale aveva in serbo per me.
Riemergo senza voce e cerco di rimettere i piedi a terra dopo quattro giorni lunghi come due settimane, avendo scoperto che il vero spirito del carnevale è ben altro rispetto a quello che conoscevo da bambina, quando i bulli prendevano di mira le ragazzine imbranate come me colpendole con la neve spray all’uscita da scuola. Se mai, proprio il contrario, ho respirato uno spirito in cui si sovvertono le gerarchie e liberi sono tutti, tutti sono belli a modo loro, tutti agiscono secondo i propri desideri senza preoccuparsi del giudizio degli amici o di quelli che benpensano, uno spirito in cui pur con la dovuta cautela nei confronti di certi previsti pericoli che terrorizzavano uno dei miei amici e che pur non si sono manifestati, non ho avuto nulla e nessuno di cui avere paura, non mi sono fatta trattare male da nessuno, e anche se da qualche giorno a questa parte sono un anno più anziana, anche se sono in debito di almeno venticinque ore di sonno perduto, in soli quattro giorni ho guadagnato sorrisi, rose, libertà e una giovinezza che solo io posso regalare a me stessa. E ne è valsa davvero la pena.