Sulla strada del ritorno il barbecue con le ruote non pesa più, e neanche lo zaino. Neanche sulla salita del ponte. Le ali me le hanno regalate gli amici che questa sera sono venuti a dividere con me l’ultima notte d’estate nel mio posto segreto di fronte al porto, con vista in prima fila sul tramonto.

Che poi chi l’ha detto che è l’ultima, questa notte tiepida in cui spariscono le stampelle, con cautela si dichiarano guarite le ginocchia rotte e si inforcano dopo una vita le biciclette e in cui accanto a noi un gruppo fa la fila per tuffarsi nelle acque del canale?

Sono felice e fortunata. Non ho un lavoro, ma esisto. Eccome, se esisto. Ho pensato una ad una alle persone che volevo invitare oggi al canale. Come se le invitassi a casa mia. Nel mio luogo segreto che conoscevano in pochi, quindi, come se li avessi invitati a casa mia.

Con la mia musica, che in questi giorni mi accompagna ad ogni passo, nelle cuffie o nelle casse. Che bella la musica, quando stai bene. A volte, quando sono davvero felice come in questi giorni magici, mi piace ascoltare anche qualche canzone triste, per riconoscere la mia felicità dal contrasto. A volte mi succede di riascoltare quella canzone che dice “I’m glad I didn’t die before I met you” e di avere voglia di correre e pensare wow, voglio vivere ancora un sacco.

Non riesco a ricordare bene quanti giorni o quante settimane siano passate dalla notte in cui, seduti laggiù a quel tavolo in fondo alla sala del bar di quel posto hipster che osa chiamarsi ostello, dalle labbra nascoste tra la barba di questo ragazzo che nel mondo virtuale non esiste mi giunse un complimento rotondo, sincero e talmente sfacciato da suonare perfetto, romantico e onesto. E quando, pochi secondi dopo, mi chiese davanti a tutti di scrivere il mio numero sulla metà di un sottobicchiere di cartone dopo aver scritto il suo sull’altra metà, che mi passò, aveva già guadagnato per sé un pezzo importante del mio cuore. Il mio numero ce l’ha tutta la città e ogni altra persona che siede a questo tavolo, non è niente di speciale, gli dissi, puoi chiederlo a uno qualunque di loro e te lo daranno, ma intanto scrissi nome e numero senza neanche controllare se avessi per caso sbagliato qualche cifra, e quando tornai a casa gli mandai un sms, per timore che uno dei due sottobicchieri si perdesse. Il mio, o il suo. Anche se erano mesi che lui lo incrociavo regolarmente sempre nello stesso posto una sera ogni due settimane e sicuramente, se uno di noi due avesse perso quel pezzo di cartone tornando a casa, ritrovarsi non sarebbe stato difficile.

Ma per fortuna conserviamo ancora entrambi la rispettiva metà e ci sono state parecchie confessioni, a partire da quel giorno, parecchi silenzi e parecchie cose belle e brutte che, ne sono sicura, ancora non abbiamo il coraggio di dirci. “Bisogna essere molto pazienti”, disse la volpe, e una volta tanto lo sto imparando nelle attese e negli spazi lasciati liberi da qualcosa che cresce così lentamente da darmi tutto il tempo di assaporarne la felicità e le tracce lasciate sul mio quaderno, nella mia stanza, nella mia cucina, nella sua cucina.

Non sono abituata a scrivere di queste cose. O forse sí. Forse domani me ne pentirò e cancellerò tutto. Ma la felicità, quella sì, vale la pena di condividerla. E io non sono capace di telefonare agli amici solo quando sono triste per chiedere aiuto, cosa che per altro ho fatto spesso e incontrando braccia aperte e pazienti orecchie disposte ad ascoltarmi a volte per ore. Quando sono felice, mi piace dirlo.

Sono anche io nei racconti che lui scrive? Forse non è necessario che ce lo diciamo. Anche se la prima sera che l’ho portato a vedere il porto dal mio posto segreto, accompagnati da uno zainetto pieno di birre belghe e da un amico incontrato con una pizza in mano sul ponte dove io e lui ci eravamo dati appuntamento, lui me l’ha chiesto: ci sono, nelle storie che scrivi? Cosa scrivi di me? Dammi il link, voglio riconoscermi nelle tue parole. Avrei voluto dire no, non ci sei nei miei racconti, ma ho la sensazione che sia solo un “non ancora”. E sono anche io nelle storie che lui scrive a penna sul suo quaderno e che non leggerò mai, come lui non leggerà mai le mie? Sarò nelle canzoni e nelle note del suo banjo che ancora non ho ascoltato per bene? Di sicuro sono negli ingredienti procurati per i suoi piatti di pasta insegnati da me, nelle sue mani che imparano a stringere caffettiere al mattino, nella gioia di suo figlio quando viene col monopattino a casa mia a farsi regalare popcorn trovati fuori dal cinema, tavolette di cioccolata e mele che diventeranno torte e a giocare a nascondino o con il cane della mia coinquilina, che nessuno dei miei ospiti aveva mai degnato, ricambiato, di tante felici attenzioni.

Vado a dormire, perché domani a mezzogiorno voglio andare a fare il bagno nel canale, laggiù di fronte al porto, nel mio posto segreto, nelle acque che stasera il sole ha reso dorate per una mezz’ora prima di nascondersi dietro le ciminiere.

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