Sono tornata dal Guatemala esattamente quindici giorni fa e ho impiegato circa dieci giorni prima di smettere di pronunciare “Guatemala” ogni tre-quattro parole in ogni conversazione, alternandola amabilmente con “vulcano”, “spiaggia”, “tacos” e altre cose che ancora non ho raccontato.
Diciamo che la mia passione calcistica e la quantità di cose da fare nella tipica frenesia pre-natalizia (devo ancora procurarmi un albero tra l’altro) hanno aiutato a distrarmi. Mercoledì scorso sono andata e tornata da Monaco in ventiquattr’ore di treno solo per vedere una partita di Champions il cui risultato era irrilevante ai fini di tutto, eccetto del mio umore. Ma avevo i biglietti da tre mesi e le regole tedesche anti-bagarino prevedono che certi biglietti non si possano rivendere, quindi mi è toccato andare e basta. E ne è valsa la pena, e l’atmosfera della Südkurve, i nodi che si sciolgono, i gol di Müller e di Coutinho, le conversazioni al supermercato della stazione a mezzanotte dopo la partita, hanno aiutato a rimettere in carreggiata quello che mi sembrava destinato a diventare un inverno sbagliato, della serie: perché sono qui al buio perenne in Germania e non su un’amaca a pochi metri dall’oceano Pacifico?
Di cosa, esattamente, vale la pena? Vale la pena di vivere la vita fatta di avventure che io stessa mi causo e faccio nascere in questa città che nel frattempo continua a perdere pezzi, persone che se ne vanno, case che vengono demolite, locali che chiudono. Questo fine settimana ho incontrato un gruppo di persone con cui dopo due giorni sembrava di conoscersi da sempre. Ho potuto mostrare loro una piccola parte del mio mondo, la Promenade alle due di notte con il semaforo dove si nasconde la polizia, il bar che non chiude mai e dove succedono cose che non si possono raccontare, il lago ribattezzato Oceano Atlantico a causa della tempesta prodotta per l’occasione, le gabbie degli anabattisti appese al campanile della chiesa. Avrei voluto mostrare loro le finestre dietro l’altare del duomo, il canale, il porto, ma in due giorni non si può fare tutto. Ho vissuto momenti segreti e bellissimi di nascosto da tutti gli altri. E mi sono svegliata stamattina, nuovamente, pensando, ma è stato solo un sogno? Sono stata troppo bene, e ora sono di nuovo alle prese con la mia routine, i miei doveri, un appuntamento di Foodsharing preso incautamente in una mattina in cui avrei fatto meglio a restare a casa, tanto più che la mia macchina è in officina e il mio mezzo di trasporto è solo la bicicletta con due borse ai lati e una cassetta del mercato fissata con le molle al portapacchi.
E invece sono arrivata al Foodsharing e la tizia antipatica e inaffidabile che avrebbe dovuto essere lì con la macchina e che avrebbe dovuto incaricarsi di parte del trasporto non c’era e non aveva una scusa e fino a stasera ancora non ho avuto una giustificazione in merito, noi altri in due avevamo otto casse di frutta e verdura da trasportare in bicicletta, tutta roba buona che se non l’avessimo portata via sarebbe finita nella spazzatura, nessuno rispondeva ai messaggi fino a che non ha mi scritto una persona di quelle dal cuore generoso e che nella vita riescono a fare tutto con semplicità e senza preoccupazione. Ha scritto: in dieci minuti sono lì, e in dieci minuti era lì con la bici con rimorchio e insieme abbiamo riempito tutti i contenitori possibili e assicurato le borse alle cassette sul portapacchi e sul rimorchio e siamo partiti per una colazione fatta di mango morbidissimo e latte al cioccolato, un lusso che è gratis e costa solo il mio tempo che avrei, a dire la verità, dovuto spendere in altro modo.
Stasera a casa mia è venuta una signora che chiamo signora solo perché ha tre bambini, ma ha dieci anni meno di me, e che ogni settimana viene a prendersi le cose del Foodsharing che io salvo e che lei utilizza per dare da mangiare ai suoi bambini, che a differenza di com’ero io, mangiano di tutto e si entusiasmano per i cavoletti di Bruxelles e per le barbabietole. Ogni volta che le regalo le cose da mangiare che ho salvato mi sento felice, perché lei è capace di regalarmi abbracci, sorrisi e gratitudine, e io faccio lo stesso con lei. Lei mi fa felice perché so che queste cose buone non finiranno buttate, perché io non ho tempo per cucinarle né spazio nel mio stomaco per mangiarle tutte. Io la faccio felice perché le risparmio il tempo e i soldi della spesa e perché penso a lei ogni volta che ho qualcosa da regalare.
Ed è così che sono riuscita nell’impresa di scrivere quattro paragrafi parlando più del Bayern che del Guatemala, più del Foodsharing e delle notti di festa che del viaggio che sento di aver lasciato a metà. Forse uno dei migliori talenti che sento di avere è di trasformare una giornata normale in un’avventura. E da quando sono tornata dal mio viaggio, questo talento sembra essersi moltiplicato, e mi sento più viva di quanto non sia mai stata.