La distrazione

Sono tornata dal Guatemala esattamente quindici giorni fa e ho impiegato circa dieci giorni prima di smettere di pronunciare “Guatemala” ogni tre-quattro parole in ogni conversazione, alternandola amabilmente con “vulcano”, “spiaggia”, “tacos” e altre cose che ancora non ho raccontato.

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Aeroporti

Aeroporto di Parigi, il mio terzo e ultimo volo verso casa ha quasi due ore di ritardo. Ho fatto una corsa per arrivare al gate, avevo meno di un’ora per la coincidenza. Prima dell’atterraggio, la hostess del volo da Panama a Parigi mi aveva consegnato una piccola mappa con le indicazioni per giungere rapidamente dal gate di arrivo a quello di partenza del nuovo volo. È vicino, mi aveva detto. Sono stati “solo” 15 minuti a passo svelto con il mio zaino che devo portare con disinvoltura per non far notare che è troppo pesante come bagaglio a mano.

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L’amaca

Ieri, più o meno a quest’ora, ho visto per la prima volta nella mia vita l’Oceano Pacifico. Al tramonto, quando il sole non brucia più come in mezzo alla giornata, ci ho fatto il bagno per la prima volta, accolta dalle onde e avvolta dalla sabbia che mi era stata preannunciata nera e che invece è grigia, ma soffice e fina.
Ho fatto il bagno senza allontanarmi dalla riva, la corrente è molto forte e il proprietario dell’ostello, un guatemalteco ex avvocato che dice di essere stato fidanzato per quattro anni con un’italiana che si chiama come me, con un misto di spocchia e di legittimo senso di responsabilità mi ha invitata alla cautela.

Per il resto, passo le giornate sull’amaca con vista oceano, all’ombra di un capanno piramidale fatto di pali di legno e giganti foglie tropicali. Sono giunta quasi alla fine di un viaggio di tre settimane durante il quale non ho rispettato quasi nessuno dei programmi fatti prima di partire. Ho visto tanto e vissuto tanto, fotografato tantissimo e scambiato un’infinità di parole in almeno tre lingue diverse, ma non ho scritto nulla, o forse nulla che valga la pena di condividere. Ho vissuto e basta e mi viene in mente un bellissimo documentario, “Anderswo. Alleine in Afrika”, girato da un ragazzo tedesco nel corso del suo lungo viaggio in solitaria in bici dal Sudafrica fino al canale di Suez. Se parlate tedesco, ve ne consiglio caldamente la visione.

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Elfter Elfter

It’s the 11th of November, or, at least, it’s still the 11th of November in my current time zone, and this means a few things:

    • today marks three years since I moved to Germany, and I hope there will be many more years to come to live a good life in my beloved Münster;
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On the other side

Cosa ci sarà dall’altra parte?

Tra tre giorni a quest’ora sarò in volo, a meno che non succedano casini o ritardi sulla strada per l’aeroporto dal bar di Amsterdam dove guarderemo una partita importante che non promette nulla di bene, e dopo la quale sarò probabilmente ben contenta di abbandonare per qualche settimana la routine del calcio e del tifo. Continua a leggere