Quel giorno si sposteranno le nuvole

Era bellissimo, il tempo, in quella sera norvegese di inizio luglio. Così bello che il meteo annunciava clear sky, cielo sereno, per la tarda serata. Un evento raro, e per l’occasione stavo programmando un vero e proprio azzardo: volevo prendere in prestito quel catorcio indegno dello status di furgoncino che utilizzavamo per le pulizie dell’ostello, e andare a vedere il sole di mezzanotte dall’altro lato della costa.

Il furgoncino scassato è una costante degli ostelli in cui ho lavorato, addirittura il furgoncino a disposizione dei volontari dell’ostello in Spagna non aveva il sedile del passeggero, e quello del guidatore non si spostava in avanti, ragion per cui per guidare dovevo sedermi sulla punta del sedile e sperare di riuscire a raggiungere i pedali. Il furgoncino norvegese, invece, quando sono arrivata a maggio aveva il freno a mano rotto, un disastro in un posto tutto salite e discese, compreso l’accesso all’ostello e a ogni singola casa. E così non mi ero stupita per niente quando in un pomeriggio di maggio il mio capo mi aveva telefonato dal centro urbano a un’ora e mezza dal villaggio, per dirmi che sorprendentemente il furgoncino non aveva passato la revisione e doveva restare lì in quarantena per un po’. Poi il freno a mano era stato riparato, ma tutto il resto no, e così per tutta l’estate il furgoncino aveva continuato a emettere un orrendo sibilo che ne annunciava l’arrivo già a qualche centinaio di metri di distanza. Ed essendo il sibilo, almeno nel mio immaginario, sintomo di imminente rottura del mezzo, portare a spasso il furgoncino per quarantacinque minuti di strada, di notte (con la luce del giorno, sì, ma senza il traffico dell’ora di punta), nella speranza che quel clear sky del meteo fosse una promessa e non un’illusione, suonava come una pazzia, ma una pazzia che andava fatta.

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Ha det bra!

Le sei del mattino. Quest’isola, ormai la mia isola, non è mai stata così bella.

L’avevo vista poche volte, nella luce delle sei del mattino, che poi non è la stessa luce delle sei delle mattine di maggio in cui qualche volta, nel fine settimana, quando l’autobus delle sei e trenta non era in servizio, avevo accompagnato al traghetto una coppia di tedeschi che poi avevano scritto nella recensione parole fin troppo gentili su di me, e un’altra volta due scozzesi che mi avevano scambiata per spagnola, e l’architetto uruguayo che per due settimane era stato mio compagno di cene nella mia prima stanza sgangherata, di pranzi quasi rubati nella cucina dell’ostello mentre facevo le pulizie, di missioni notturne per recuperare ospiti rimasti bloccati da una frana e da un traghetto guasto, e di escursioni anch’esse notturne sulla montagna su cui dicevo a tutti di non salire (e avevo ragione). Continua a leggere

Settembre

L’aspetto più incredibile del fatto che è arrivato settembre è che l’impalcatura è ancora lì. L’impalcatura è quella sui due fianchi della grande casa della famiglia E., che per molte generazioni ha fatto la storia di questo villaggio. Quando sono arrivata qui non sapevo nulla di quella casa. Poi gli ospiti hanno iniziato a chiedermi: è ancora vivo il signor E.? E io non sapevo di chi stessero parlando. Le settimane scorrevano e io, nella mia minuscola reception, ero troppo impegnata a imparare mille compiti amministrativi e studiare la soluzione di molti problemi logistici per domandarmi chi fosse questo signore di cui mi si chiedevano notizie.

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The great gig in the sky

[English below, under the photos]

La prima volta che ho visto l’aurora boreale era cinque anni fa, in un quartiere residenziale di una bellissima città quattrocento chilometri ancora più a nord di qua. La gente portava a passeggio il cane e faceva jogging come niente fosse e noi siamo scesi dall’autobus di linea a tre fermate dal nostro affittacamere e sopra di noi danzava nel cielo questa cosa incredibile. Quella sera ho pensato a come sarebbe stato un giorno vivere in un posto dove l’aurora ce l’hai lì sulla tua testa quasi tutte le sere per molti mesi all’anno, e non ci fai più caso. Continua a leggere

La stagione

Sopra le montagne, laggiù sulla terraferma, dall’altra parte del mare, sta sorgendo rapida una luna enorme. Sorge e attraversa sfacciata il tramonto che in questa sera senza nuvole è “solo” un rosa uniforme che avvolge per un’ora il mare e una striscia di cielo. Sulla strada principale tutti si sono fermati ad ammirarla e a fotografarla, anche se a scattare una foto decente alla luna non ci si riesce. Una coppia che ha attrezzato la macchina per dormire in un angoletto a bordo strada guarda questa luna incredibile direttamente dai sacchi a pelo. Hanno un sorriso che non finisce più. E forse ho lo stesso sorriso anche io, che sono in fuga dal villaggio per una piccola passeggiata serale sperando che nessuno abbia bisogno di me e mi chiami. Illusione passeggera, un quarto d’ora e devo tornare indietro, richiamata all’ordine da una coppia italiana che si è persa, da un ragazzo tedesco tornato infangato e quindi bisognoso di gettoni per la lavatrice dall’escursione che gli ho consigliato, e da una ragazza che è appena arrivata e sembra triste come poche nonostante il post-it che le avevo lasciato sulla porta con tutte le istruzioni del caso. Continua a leggere

Fate piano.

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Stamattina nel dormiveglia stavo pensando agli appuntamenti che ho già, mio malgrado, preso per la data del mio ritorno. Come accadeva sempre nella mia vita di città, non ci sono più che quindici minuti tra un appuntamento e l’altro, solo che non ho più lo scooter, e non ho bene idea di come fare ad arrivare da una parte all’altra senza ammazzarmi. O forse è meglio dire che rischiavo di ammazzarmi ogni volta che correvo con lo scooter in tangenziale per non fare tardi. Ora non c’è rischio. Mentre pensavo a questa follia e meditavo di annullare gli impegni e semplicemente lasciar perdere tutto, mi sono avviata alla reception per iniziare la mia giornata di lavoro. Continua a leggere

La bussola

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Oggi mi hanno regalato una bussola. Me l’ha regalata una di quelle persone che passano di qui per tre giorni e con cui di sfuggita ti racconti la vita, mentre impazzisci in reception tra una telefonata e un check-in. Me l’ha regalata una delle tante persone che passano di qui e mi raccontano che anche loro hanno cambiato vita, e più volte. O che anche loro sono stati, o sono tuttora, in aspettativa dal loro lavoro, per pensare al futuro o semplicemente per dare un’occhiata al mondo senza una data di scadenza troppo ravvicinata. Anche se poi, come ho imparato quest’anno, anche se hai sei mesi, il tempo si dilata, si dilata a dismisura e non basta neanche per vedere un paese, magari sì per impararne la lingua, ma per fare un viaggio no, il tempo non basta mai, il viaggio, una volta iniziato, potrebbe non finire mai. Continua a leggere

La casa in riva al mare

Torno a casa all’una e un quarto di notte solo per andare a dormire. Le ultime due ore le ho trascorse nascosta in una tana cui ho accesso quasi solo io, avevo bisogno di un po’ di silenzio dopo una giornata di lavoro in cui non ho fatto che parlare. E parlare a voce alta, scandendo le parole, con la signora cinese che è arrivata stamattina da sola con la gonna, il cappello, le sue sole venti parole in inglese e una gran voglia di chiacchierare, e ha preso in ostaggio prima me e poi il mio collega, cui avevo chiesto di sostituirmi per mezz’ora in reception per poi ritrovarlo con le mani nei capelli, perso tra le domande della signora.

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Quarti di finale

“C’è un televisore da qualche parte nel villaggio?”. È la domanda che più di frequente mi viene rivolta in questi giorni.

Nella sala da pranzo dell’ostello il televisore c’è e di solito è un oggetto che non interessa a nessuno, da queste parti. L’ostello è un edificio di centocinquant’anni di età che si vedono tutti, le maniglie delle porte ti restano in mano a volte e una coppia di olandesi un giorno mi ha chiamata per fare aggiustare la porta, era la seconda volta che gli capitava di dover uscire dalla finestra. Per fortuna stavano al piano terra. Poi il mio collega ha aggiustato la maniglia e meno male, perché gli ospiti successivi, per quanto escursionisti, avevano una settantina d’anni e non mi sarebbe piaciuto che dovessero uscire dalla finestra. Continua a leggere

La finestra sul mondo

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Sono qui da un mese e mezzo e già quando sono arrivata non faceva per niente buio. Ora giorno e notte la quantità di luce è perfettamente uguale, cambia solo la qualità. A quest’ora, verso mezzanotte, il mare diventa rosa da questo lato della costa, il lato sfigato, quello dove non c’è alba e non c’è tramonto (è sulla costa occidentale, dalla parte opposta rispetto a qui, che il sole fa finta di sorgere e tramontare, sfiora l’orizzonte e torna su). Io se posso vado alla scogliera con una lattina di birra, l’unico lusso che abbiamo da queste parti, lusso visto che una lattina da mezzo litro costa quasi quattro euro, e mi metto lì su un sasso a guardare il mare che cambia colore, con una luce diversa ogni giorno. L’anno scorso una ragazza norvegese che lavorava qui nella panetteria del villaggio mi disse una cosa che ora porto con me ogni giorno. Che puoi fare ogni giorno la stessa camminata, la stessa escursione, ma non sarà mai la stessa, perché la luce cambia ogni volta. La luce, la quantità di neve sulle montagne, gli uccelli in volo sopra il lago. Ora che sono qui da un po’ capisco cosa intende. E penso che forse se pubblico tante foto dello stesso lago e della stessa scogliera non percepirete, come faccio io, il tempo che passa, la neve che si scioglie, la luce che aumenta ancora per qualche giorno e che poi inizierà a diminuire e mi farà dimenticare la vaga tentazione di restare qui per qualche altro mese anche dopo l’estate, perché senza tutta questa luce questo posto è diverso, perde un po’ della sua magia. Continua a leggere