Aeroporto di Parigi, il mio terzo e ultimo volo verso casa ha quasi due ore di ritardo. Ho fatto una corsa per arrivare al gate, avevo meno di un’ora per la coincidenza. Prima dell’atterraggio, la hostess del volo da Panama a Parigi mi aveva consegnato una piccola mappa con le indicazioni per giungere rapidamente dal gate di arrivo a quello di partenza del nuovo volo. È vicino, mi aveva detto. Sono stati “solo” 15 minuti a passo svelto con il mio zaino che devo portare con disinvoltura per non far notare che è troppo pesante come bagaglio a mano.
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L’amaca
Ieri, più o meno a quest’ora, ho visto per la prima volta nella mia vita l’Oceano Pacifico. Al tramonto, quando il sole non brucia più come in mezzo alla giornata, ci ho fatto il bagno per la prima volta, accolta dalle onde e avvolta dalla sabbia che mi era stata preannunciata nera e che invece è grigia, ma soffice e fina.
Ho fatto il bagno senza allontanarmi dalla riva, la corrente è molto forte e il proprietario dell’ostello, un guatemalteco ex avvocato che dice di essere stato fidanzato per quattro anni con un’italiana che si chiama come me, con un misto di spocchia e di legittimo senso di responsabilità mi ha invitata alla cautela.
Per il resto, passo le giornate sull’amaca con vista oceano, all’ombra di un capanno piramidale fatto di pali di legno e giganti foglie tropicali. Sono giunta quasi alla fine di un viaggio di tre settimane durante il quale non ho rispettato quasi nessuno dei programmi fatti prima di partire. Ho visto tanto e vissuto tanto, fotografato tantissimo e scambiato un’infinità di parole in almeno tre lingue diverse, ma non ho scritto nulla, o forse nulla che valga la pena di condividere. Ho vissuto e basta e mi viene in mente un bellissimo documentario, “Anderswo. Alleine in Afrika”, girato da un ragazzo tedesco nel corso del suo lungo viaggio in solitaria in bici dal Sudafrica fino al canale di Suez. Se parlate tedesco, ve ne consiglio caldamente la visione.
On the other side
Cosa ci sarà dall’altra parte?
Tra tre giorni a quest’ora sarò in volo, a meno che non succedano casini o ritardi sulla strada per l’aeroporto dal bar di Amsterdam dove guarderemo una partita importante che non promette nulla di bene, e dopo la quale sarò probabilmente ben contenta di abbandonare per qualche settimana la routine del calcio e del tifo. Continua a leggere
La casa
Fuori è buio. Ma buio sul serio. Vivere qui ti dà la sensazione netta del passaggio delle stagioni. Ha fatto più caldo qui che in Italia, quest’estate, con punte di quasi quaranta gradi, e io ho caricato in macchina la bici e la tenda e me ne sono scappata su un’isola olandese bellissima e selvaggia, quasi senza alberi, con spiagge enormi, dune, migliaia di tedeschi e piattaforme petrolifere all’orizzonte, un’isola dove mi vedo bene a passare le estati della mia vecchiaia, da tedesca che sono diventata.
Ora fa buio e fa freddo e da qualche giorno mi sono arresa all’idea di dover accendere già il riscaldamento. Con la mia coinquilina italiana cerchiamo la giusta congiunzione astrale per far funzionare i termosifoni in un orario e a una temperatura che accontenti me, lei e il nostro coinquilino tedesco, ma abbiamo orari, vite e termostati corporei diversi e ci vorrà un po’ di diplomazia o forse il parere di un tecnico per risolvere il rompicapo. Continua a leggere
Wishbone
Terza domenica d’avvento, in Germania queste cose si prendono molto sul serio, la coinquilina che presto sarà ex ha acceso la terza candela sul tavolo in cucina. Mi tiro fuori dal letto troppo presto dopo la seconda notte insonne di fila, anche se molte cose si stanno pian piano aggiustando non riesco ad apprezzare a lungo la sensazione di sollievo che dovrei provare. Continua a leggere
Disgelo
Fuori dalla finestra la pioggia ha smesso di fare rumore. Senza scostare la tenda posso intravederne il motivo. È la prima nevicata dell’anno. Solo cinque settimane fa facevamo ancora barbecue al canale e qualcuno addirittura nuotava per pochi gelidi secondi. Continua a leggere
Mala noche
Musica per gli occhi
In un pomeriggio di pioggia in cui nessuno vuole tornarsene a casa ci troviamo tutti insieme, un polacco, una messicana, un texano, un’italiana, un bengalese e un tedesco, a mangiare l’ultimo gelato di questa lunga estate ormai (giustamente) sconfinata in un grigio autunno, e tu hai la febbre e non hai una giacca se non la felpa con cappuccio presa in prestito da un mio amico in una notte gelida ma felice lo scorso fine settimana. Come sono stata felice, quella sera, anche se non ricordo tutto. Mercoledì, poco prima di andare a mangiare il gelato, ho incontrato un’altra foodsaver e mi ha detto: ci siamo viste davanti al supermercato, venerdì sera, stavate parlando in inglese con un senzatetto, noi avevamo fretta, ma voi sembravate felici.
A tale of mortgages, climbing shoes, and things left behind
[Versione italiana qui]
On Saturday afternoon I was walking through the city centre, wearing my beloved FC Bayern jersey, enjoying the rays of light of such a wonderfully warm October day, happily greeting numerous friends and acquaintances along the way. I was walking fast to reach the place where we were going to watch the Bundesliga match, so I could not stop and chat with anyone for more than one minute. I was hopeful that we would win and put an end to a short but painful series of disappointing matches. Continua a leggere
L’elefante di cemento
Le partite vanno male da una settimana a questa parte, oggi ci ha salvato la sorte e una traversa maldestra o malandrina che dir si voglia. Domani è festa nazionale e quindi domani non si lavora e stasera non si torna a casa di corsa dopo la partita infrasettimanale, si resta fuori, anzi c’è chi arriva alle due di notte un attimo dopo che io sono andata via.