La neve

Questa è una di quelle foto che vorrei potessero parlare. Perché c’è molto di più della tempesta di neve. Ci siamo io e la mia macchina che non sapevo potesse affrontare questo tipo di intemperie senza alcun problema e in totale sicurezza. C’è la nostra città imbiancata che grazie a tutta questa neve torna a brillare di una luce che in questi mesi bui ci possiamo solo sognare.

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Quando disegnarono la felicità

Quando disegnarono la felicità, disegnarono una foto sfocata scattata davanti alla porta del bagno di un locale dove però la musica era buona, e noi indossavamo i nostri vestiti migliori e i nostri migliori sorrisi. E i sorrisi erano veri.

Quando disegnarono la felicità, disegnarono una domenica invernale, le luci accese della mia cucina, un tavolo pieno di verdure e formaggi e tazze di tè, e ore e ore di parole. Continua a leggere

La carta da parati

I tedeschi, a quanto pare, lo chiamano Tapetenwechsel. Ovvero, il cambio di scenario, di scenografia o, alla lettera, il cambio di carta da parati. Noi lo chiamiamo, semplicemente, “cambiare aria”. Un mio amico tedesco, che sa che amo le parole particolari come questa, me ne ha fatto dono – della parola, non della carta da parati – mentre qualche giorno fa attraversavo un parco di Roma e gli raccontavo, a distanza, che fare un salto nella mia vecchia vita, dopo un anno di assenza, ci voleva proprio. Continua a leggere

La cesta del tesoro

Il pomodoro che mi guarda dal banco del supermercato alle nove e mezza di questo tiepido giovedì sera ha una faccia più pulita o forse più perfetta, ma ben più triste, del pomodoro un po’ più rosso, più morbido e a volte ammaccato che mi porto a casa nelle mie borse di tela verdi dopo averlo raccolto e “adottato” dalle ceste del Foodsharing di Josh, che tre-quattro sere a settimana ci apre le porte di casa sua per regalarci, prima di andare a dormire, il suo “raccolto” quotidiano: pane, frutta, verdura, a volte affettati, salse, piatti pronti del banco gastronomia, qualche sera fa persino una burrata. Continua a leggere

Cristallo

Che è l’ultimo sabato di settembre lo diresti solo perché a terra è tutto pieno di foglie. Gialle come il furgone della DHL fermo al semaforo, alcune rosse come la scritta sul furgone, solo colori accesi, quasi fluo. Lo spettacolo dell’autunno, in Germania, è più bello che da noi, forse perché le città e il panorama dal treno e dall’autostrada sono pieni di alberi diversi dai nostri pini e dalle nostre palme. L’anno scorso, in questi giorni, mentre ammiravo per la prima volta questo spettacolo e forse anche per questo mi innamoravo di questo paese, qualcuno mi aveva spiegato perché le foglie in autunno perdono il loro colore verde: perché gli alberi si riprendono nella parte più importante, il tronco e i rami, le sostanze che li tengono in vita, per risparmiare le forze in vista dell’inverno. Continua a leggere

Io mi sto preparando

Il miracolo di questo giovedì pomeriggio è che alle cinque e venti, mentre varco la soglia del portoncino di casa con le buste del bucato fatte in lavanderia a gettoni, in cielo c’è ancora un po’ di luce, e intanto brilla addirittura qua e là una stella.

Dopo il tramonto spettacolare di una settimana esatta fa, e fino a stamattina, il cielo era stato ininterrottamente nascosto là dietro a uno strato spesso di qualcosa che non avevo mai visto, un blocco uniforme di cemento che ti separa dal cielo, dall’aria, dalle stelle. Uno strato così spesso che anche di notte il cielo non si fa così scuro, perché le luci della città gli rimbalzano contro. No, non ho mai vissuto in pianura padana, no, non lo sapevo cosa volesse dire quando il sole non si fa vedere per una settimana, a Roma d’inverno veniva a piovere a secchiate violente ma poi tornava il sereno e spesso, nei pomeriggi d’inverno, dall’enorme finestra del mio ufficio, rimanevo ipnotizzata a guardare e fotografare un cielo sempre diverso, che faceva da sfondo al pino, (sempre lo stesso pino, ironizzava una cara collega), delle mie fotografie. Continua a leggere

Mille pezzi del mio cuore


Quando è uscita questa canzone la mia casa era una stanza di un ostello per arrampicatori in Spagna. Cambiavo stanza ogni tre-quattro giorni per fare posto in base alle prenotazioni degli ospiti in arrivo. Anzi, a dire la verità, all’epoca la mia stanza erano le mie cose organizzate in alcune scatole e portaoggetti, che mi permettevano un rapido trasloco all’occorrenza: una scatola-comodino, una scatola-armadio, una scatola-scaffale per cianfrusaglie e libri, una busta per le scarpe e un fantastico portaoggetti da bagno dell’ikea che rappresenta appunto, da un anno a questa parte, il mio mobile da bagno portatile, carico di asciugacapelli, medicine per ogni evenienza, smalti, creme e un sacco di altre cose che non serve menzionare.

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Il mostro della burocrazia

Oggi c’era un sole meravigliosamente tiepido, e per la prima volta da quando sono qui sono andata in bici senza guanti. Stamattina nell’intervallo tra una lezione e l’altra ho aperto Facebook sul computer che abbiamo in aula, e la mia home mi dava il buongiorno ricordandomi che oggi c’è il sole, e invitandomi a godermelo, perché poi arriva la pioggia. Grazie, Facebook, sei gentile a ricordarmi che qui ci sono solo un centinaio di giorni di sole all’anno, o almeno così dicono. Ho spento il computer infastidita e sono andata a comprare un muffin dalla panetteria all’angolo. Continua a leggere

Una vita all’altezza

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Sto iniziando a credere che abbiamo sbagliato tutto. Abbiamo sbagliato a inseguire a tutti i costi la realizzazione personale tramite il lavoro.

I miei genitori hanno lavorato (e mia madre lavora ancora tanto) tutta la vita con passione a qualcosa in cui hanno creduto profondamente, la loro ricerca scientifica. Conosco poche persone fortunate come loro. Continua a leggere

Cosa imparerò domani

[English below]

Sono ripartita da casa tre settimane e circa tremila chilometri fa. Ero talmente stanca, sciupata e malaticcia che mentre rifacevo pigramente la valigia e caricavo le mie cose in macchina mi sono domandata parecchie volte chi me lo facesse fare. Sarebbe stato sicuramente meglio riposare ancora, dopo i quattro faticosissimi mesi di lavoro estivo ininterrotto, e infatti ancora per una decina di giorni dopo la mia partenza ho avuto malanni vari a giorni alterni e batterie praticamente scariche. Ciò nonostante, pian piano e spesso in buona compagnia, sono riuscita ad arrivare parecchio lontano, a farmi accogliere da braccia amiche, care e molto care, in posti vecchi e ritrovati e in posti che ancora non conoscevo. Continua a leggere