Per questa volta almeno sarò la mia libertà

No, non farmi andar via. Per la prima volta in due anni non voglio tornare alla mia casa tedesca. Undici giorni in Spagna mi hanno regalato una pelle abbronzata che non ricordavo possibile, tutto il silenzio e la solitudine di cui avevo bisogno, sabbia ovunque, in tutte le scarpe e fin dentro le orecchie, un corso accelerato per “correggere” il mio español mexicano de la calle, un milione di foto, un ballo che avremmo voluto durasse per tutta la notte, birra che non ubriaca, roccia su cui rimettere le mani per un attimo dopo due anni, nuovi luoghi da chiamare casa, fare pace con un passato ormai lontano, la spiaggia più bella del mondo e non solo perché anni fa ci ho vissuto giorni tra i più belli della mia vita, le acque gelate dell’oceano e del fiume, un matrimonio meraviglioso figlio dell’erasmus e dell’incontro tra le mie due culture adottive e che amo ugualmente ciascuna a suo modo, incontri senza domani, risvegli senza mal di testa, le mie poche parole in arabo per iniziare a guadagnarmi la strada per il deserto, autostop che riesce superfacile o a volte non riesce affatto, cani, gatti e bambini che si fanno adottare dal mio sorriso felice, il vento di levante che spazza via tutto, pantaloni larghissimi e scarpe nuove, la mia libertà.

Continua a leggere

The treasure map

Last night my mum reminded me that 12 years have already passed since my graduation day (yes, I’m an old woman). Although I studied (and enjoyed) English and German language and literature (and some French), I don’t think at the time I realised how wonderful it is to learn languages, and what a huge power it gives you.

For many years after my graduation, English became, in a way, my “second mother tongue”, but I totally forgot the others that I had been lazily learning. Continua a leggere

La parola magica

Anche se teoricamente non sarebbe il mio lavoro, quando al call center telefonano dalla Spagna e la collega madrelingua non c’è, il ragazzo del servizio clienti mi fa un cenno, mi tolgo le cuffie e lui mi dice la parola magica: Spagna! Continua a leggere

Fuori luogo

Esco di casa in bici per andare al colloquio introduttivo con l’insegnante di spagnolo dell’università popolare. Sono in ritardo. L’orario di ricevimento è di due ore, e quando monto in sella alla bici mancano solo venti minuti alla fine della seconda ora. Sì che l’insegnante non è tedesco, avrà pazienza, ma siamo pur sempre in Germania e gli orari di lavoro qui si rispettano. Il che, in sé, non è una cosa cattiva. In un certo senso, qui spesso quando scatta l’orario di chiusura o di fine turno, al lavoratore “je cade la penna”, come diceva anni fa una collega nel mio vecchio lavoro. Ovvero lascia tutto com’è, come in un fermo immagine, e se ne va a casa. In tedesco c’è un’espressione apposita per questo momento, Feierabend machen, che qui trovate spiegata magistralmente in italiano.

Continua a leggere

Io mi sto preparando

Il miracolo di questo giovedì pomeriggio è che alle cinque e venti, mentre varco la soglia del portoncino di casa con le buste del bucato fatte in lavanderia a gettoni, in cielo c’è ancora un po’ di luce, e intanto brilla addirittura qua e là una stella.

Dopo il tramonto spettacolare di una settimana esatta fa, e fino a stamattina, il cielo era stato ininterrottamente nascosto là dietro a uno strato spesso di qualcosa che non avevo mai visto, un blocco uniforme di cemento che ti separa dal cielo, dall’aria, dalle stelle. Uno strato così spesso che anche di notte il cielo non si fa così scuro, perché le luci della città gli rimbalzano contro. No, non ho mai vissuto in pianura padana, no, non lo sapevo cosa volesse dire quando il sole non si fa vedere per una settimana, a Roma d’inverno veniva a piovere a secchiate violente ma poi tornava il sereno e spesso, nei pomeriggi d’inverno, dall’enorme finestra del mio ufficio, rimanevo ipnotizzata a guardare e fotografare un cielo sempre diverso, che faceva da sfondo al pino, (sempre lo stesso pino, ironizzava una cara collega), delle mie fotografie. Continua a leggere

Il mostro della burocrazia

Oggi c’era un sole meravigliosamente tiepido, e per la prima volta da quando sono qui sono andata in bici senza guanti. Stamattina nell’intervallo tra una lezione e l’altra ho aperto Facebook sul computer che abbiamo in aula, e la mia home mi dava il buongiorno ricordandomi che oggi c’è il sole, e invitandomi a godermelo, perché poi arriva la pioggia. Grazie, Facebook, sei gentile a ricordarmi che qui ci sono solo un centinaio di giorni di sole all’anno, o almeno così dicono. Ho spento il computer infastidita e sono andata a comprare un muffin dalla panetteria all’angolo. Continua a leggere

Settembre

L’aspetto più incredibile del fatto che è arrivato settembre è che l’impalcatura è ancora lì. L’impalcatura è quella sui due fianchi della grande casa della famiglia E., che per molte generazioni ha fatto la storia di questo villaggio. Quando sono arrivata qui non sapevo nulla di quella casa. Poi gli ospiti hanno iniziato a chiedermi: è ancora vivo il signor E.? E io non sapevo di chi stessero parlando. Le settimane scorrevano e io, nella mia minuscola reception, ero troppo impegnata a imparare mille compiti amministrativi e studiare la soluzione di molti problemi logistici per domandarmi chi fosse questo signore di cui mi si chiedevano notizie.

Continua a leggere

Voglio restare

Sconfinare in Portogallo forse non è stata una grande idea. O, meglio, per dare a Cesare quel che è di Cesare, Sagres, ovvero l’estremità sud-occidentale dell’Algarve, la punta dove finisce la penisola iberica e inizia l’oceano, è una meraviglia di scogliere, spiagge, sentieri, onde, dune, surf e birre in ottima compagnia.

Non è stata una grande idea, invece, fermarsi per qualche giorno in Alentejo, la regione immediatamente a nord del più famoso Algarve, sulla via del ritorno da Sagres all’Andalusia. Continua a leggere

La torre di Babele

Sono in incognito. Ho deciso di non rivelare più a nessuno che parlo benissimo inglese, ogni volta che metto piede fuori da questo ostello-enclave britannica e tassativamente anglofona e mi ritrovo improvvisamente catapultata nella realtà, ovvero in territorio spagnolo. E ho deciso di non rivelare neanche che sono italiana, perché gli spagnoli sono gentili, e se provo a parlare la loro lingua nel mio modo ancora stentato, mi dicono di non preoccuparmi, tanto l’italiano lo capiscono benissimo. Continua a leggere