Le lunghe notti

C’è una mezza luna spettacolare che tenta invano di nascondersi dietro ai palazzi mentre cammino da sola verso casa. Sembra che ogni due settimane sia possibile vivere una vita diversa in questo frammento di lunedì notte che che ci è concesso di sottrarre alla giornata di domani.

Finalmente domani non lavoro e non ho urgenze, non ho appuntamenti, non ho nessuno che mi cerca e nessun dovere, si spera, che mi tiri fuori dal letto. Domani è il mio fine settimana, e non svegliatemi.

Il mal di testa mi raggiungerà, probabilmente, prima del giusto orario del risveglio, e non ho neanche un paracetamolo per mandarlo via. Mentre camminavo verso casa, poco fa, frugavo nella musica scaricata sul cellulare, in cerca della canzone giusta per questo momento definitivo. La canzone giusta per dire basta e ricordarsi perché non c’è più nulla da dire. Non ricordo più natale, non ricordo più l’autunno nè capodanno, non ricordo la domenica mattina con i pancake, ricordo solo che ho imparato ad alzare muri per difendermi dal troppo che ho dato e che vorrei avere di fronte a me qualcuno in grado di abbatterli, quei muri, ma ci vuole ben altro che una rosa e un mucchio di parole di circostanza per rimediare a ciò che ormai è infranto, dimenticato, disconnesso e cancellato, e non si torna indietro.

Oggi, mentre poco prima di mezzogiorno andavo al lavoro a piedi lungo la corsia pedonale della Promenade, che poi sarebbe la famosa tangenziale per bici che per prima mi ha fatto amare questa città, i sedici tiepidi gradi di questa fine febbraio, il cielo quasi azzurro, le prime persone sedute a chiacchierare su quello che presto tornerà a essere un prato, mi hanno strappato un sorriso fondato, sicuro, sensato. Il pensiero che magari tornerà il freddo ancora per un momento, ma che tra un mese, tra qualche settimana, dirameremo le prime convocazioni per i primi barbecue dell’anno, un evento che in Germania si saluta con un’euforia che ormai, sopravvissuta al mio terzo inverno tedesco, conosco bene.

C’incontreremo ancora al porto, dall’altro lato, di fronte ai cantieri, sotto l’elefante di cemento che in una notte di settembre veniva accusato di non esistere, c’incontreremo in quel punto del canale che si mescola con le acque del porto e col tramonto più ingannevole e felice della città, ma non ho più birre belghe né sorrisi da confessare anche a chi non me lo chiede. C’incontreremo ancora, tutti noi che da ogni parte del mondo popoliamo questa città e andiamo e veniamo, ognuno con le sue ragioni per essere qui. Vivremo un’altra estate, stavolta senza mondiali e speriamo anche senza enormi litigi e accuse di razzismo o altre irreparabili storture che ci hanno rovinato la scorsa estate, prima che qualcosa di incredibilmente nuovo e incredibilmente inconsistente mi facesse dimenticare tutto il resto.

Vivremo un’altra estate e non vedo l’ora, non è ancora carnevale e già non vedo l’ora, fa quasi caldo, ho solo voglia di pensare alle cose nuove e belle che mi aspettano e ho voglia di dimenticare che sia stato inverno e tutto quello che non mi ha lasciato niente se non una rosa che credevo di aver perso e che presto perderà i petali e qualche foglio appeso alla mia bacheca sopra il letto nella stanza nuova, ricordo di infinite notti di parole che mi facevano brillare gli occhi e che ormai non hanno più molto da dire.

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